Just Kids Webzine – Two For Joyce

Just Kids Webzine parla di Two For Joyce

La carriera di Keith Tippett ha dell’incredibile. Per la qualità costantemente alta della produzione artistica, innanzitutto; per la varietà degli interessi e degli ambiti musicali esplorati, dall’artrock al jazz alla musica d’avanguardia. Come divulgatore, leader, creatore di progetti eccellenti, insegnante carismatico e di spessore. Molto meno dal punto di vista della visibilità e del successo di vendite, diversamente da altri, quasi omonimi, pianisti. Da cinque decenni il grande pianista inglese ha esplorato molte vie che portano all’essenza musicale: la ricerca assoluta dell’esibizione in solo, l’improvvisazione di gruppo, il lavoro di compositore e arrangiatore per piccoli e grandi ensemble. A renderlo maggiormente noto al pubblico ha fortemente contribuito la sua partecipazione come sideman di lusso a dischi storici dei King Crimson, come “In the Wake of Poseidon”, “Lizard” e “Islands”, e l’aver suonato in molti frangenti con musicisti membri di un gruppo di culto come i Soft Machine. Ugualmente importanti per la sua statura artistica, sono stati i progetti Centipede Orchestra, Ark, e Mujician, che gli hanno fatto guadagnare la stima e l’apprezzamento soprattutto da parte dei colleghi e degli addetti ai lavori.

Il suo stile è personale ed eclettico, e si avvantaggia di una forte padronanza ritmica e di un linguaggio armonico ricchissimo e obliquo. Il pianismo di Tippett infatti è fortemente debitore nei confronti di autori di importanza cardinale come Debussy e Messiaen, dai quali assorbe la lezione di far respirare la musica come un organismo vivente, donandole quegli “accidenti”, quelle irregolarità che la rendono unica, e quegli accordi che dipingono in sfumature sempre diverse di colori i vari stati d’animo. Tutte queste qualità sono pienamente in evidenza in questo interessantissimo disco in duo, registrato dal vivo a Trieste nel maggio 2012 nell’ambito della rassegna “Le Nuove Rotte del Jazz”.

Il disco vede come co-protagonista il nostro Giovanni Maier, contrabbassista tra i più dotati e creativi, e musicista a tutto tondo. Anche Maier da più di vent’anni è votato a una vera e propria missione musicale, che oltre all’insegnamento e a vari progetti pregevoli come la Mosaic Orchestra, include dal ‘94 un “work in progress” sulle possibilità del contrabbasso solo (documentato in vari album), ed anche il lavoro per il teatro, il cinema e la danza. Tippett e Maier sono partner ideali e le loro visioni si sposano alla perfezione in questi 50 minuti di musica improvvisata, che compongono l’unica traccia del disco. Il titolo: “Two for Joyce – Live in Trieste”, suggerisce un chiaro riferimento allo “stream of counsciousness” di joyciana memoria, e al capolavoro ”Ulysses”, con tutti i rimandi del caso all’idea di viaggio ed esplorazione. E proprio di una piccola Odissea si tratta.

Fin dall’inizio infatti i due musicisti instaurano un dialogo ed un ascolto reciproco che conducono a poco a poco l’ascoltatore ricettivo in territori conosciuti e sconosciuti, ma sempre affascinanti. Sono molti i ricordi e le citazioni evocate nel corso del concerto: i glissati di Charles Mingus e del suo basso parlante in duo con Max Roach; quelle sonorità metalliche figlie a un tempo del Clavicembalo ben Temperato di Bach e delle Sonatas and Interludes per piano preparato di John Cage; quei tetri carillion da fiera fin de siecle; i ritmi e i timbri del Gamelan; persino l’ironico, caustico richiamo all’arrangiamento più famoso di “Tea For Two”. Accanto al prevalente impeto ritmico, mai parossistico e sempre avvincente, non mancano lunghi momenti di seducente atmosfera, di affascinante mistero, nei quali gli strumenti propongono sonorità risonanti e impressionistiche, sensuali.

Il bellissimo timbro del contrabbasso di Maier, profondo e corposo, sa rarefarsi e sussurrare, per poi tornare denso e percussivo. E Tippett, da grande maestro, ha un controllo assoluto sulle dinamiche dei tasti e della pedaliera, erogando il volume e le masse sonore con gran senso di equilibrio.
Come spesso accade nelle esibizioni in duo, specialmente se improvvisate, entrambi gli strumenti coinvolti, oltre a liberare la forma e concentrarsi sull’interplay, allargano il range delle proprie possibilità, uscendo dal proprio ruolo convenzionale e tirando fuori sonorità che sono appannaggio dell’intera sezione ritmica. Il piano di solito è il più avvantaggiato in questo processo: può facilmente diventare percussivo (essendo, di fatto, uno strumento a percussione di corde) e la mano sinistra può facilmente disegnare delle linee di basso. Inoltre il pianista può giocare a suo piacimento col timbro e la tonalità (o atonalità), anche inserendo oggetti all’interno del piano stesso, come fa spesso Tippett. Anche il basso può agevolmente diventare percussivo ed è potenzialmente uno strumento armonico, e Maier sfrutta appieno la gamma di queste possibilità esecutive.

Alla fine del “viaggio”, quel che resta è un’appagante sensazione di pienezza nelle orecchie e di piacere intellettuale. I due partner si producono in una performance da incorniciare, riuscendo a tenere alta la tensione per tutta la durata del concerto e a dialogare con fantasia e intelligenza. E’ un altro capitolo pregevole dell’ormai lunga e gloriosa storia dell’improvvisazione free jazz europea, e vale sicuramente la pena acquistare ed ascoltare più volte questo disco, per coglierne anche gli aspetti nascosti. Non è un disco per tutti però: pur non essendo caratterizzato da quella cacofonia tipica di alcune produzioni free, ed essendo anzi molto melodico in alcuni episodi, resta decisamente al di fuori del main stream, e richiede un impegno di ascolto attivo per essere metabolizzato ed apprezzato pienamente.

Unico appunto al titolo della rassegna, “Le Nuove Rotte del Jazz”; qui di nuovo c’è ben poco. Sono decenni, almeno dagli anni ‘60 che esiste questo tipo di improvvisazione, ed il linguaggio, pur avendo arricchito col tempo il proprio vocabolario, è rimasto lo stesso. Ma, naturalmente, la “novità” non è una condizione necessaria per fare dell’ottima musica.

Luca Anzalone

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