Chi avrebbe mai pensato che la fantasia e l’estroversione incontenibili di Dave King (The Bad Plus, Happy Apple) nascondessero una sottile passione per la musica atmosferica e rarefatta di questo Moontower? Eppure è già la seconda volta (dopo il omonimo, Craig Green + David King) sempre per l’etichetta italiana Long Song Records) che, in compagnia dell’ottimo chitarrista Craig Green, King si scioglie in questa celebrazione dell’indeterminato, dell’intimistico “paesaggio sonoro,” con risultati di tutto rispetto.
La tavolozza musicale del duo consta di percussioni, chitarre, tastiere elettroniche. Manipolate tutto sommato alla vecchia maniera, senza troppi giochi di prestigio e senza sovraincisioni. Si mette a frutto qui la perizia strumentale che si allarga all’intelligenza generativa per suoni anomali ma soprattutto l’abilità di trasporre in contesti misteriosi oggetti consueti come un tamburello, un organo, così come il delay chitarristico e i bagliori elettrici di un pc.
All’inizio dell’album si coglie quella poetica del ronzio ben spiegata da Paul Morley in Words and Music: bordoni, ripetizioni, le risonanze ambientali. Poi però, già da “The Best Western,” la lunga suite che compone il disco comincia a viaggiare in territori filmici, evocando ampi spazi notturni, coniugando Frisell e Morricone, con un minimo di armonia. Anche Eno&Fripp vengono in mente mentre scorre “Blackwell Star Galactica”. Qualcosa di davvero originale si accende con “Moontower,” con le sue false partenze, le decelerazioni e gli scarti ritmici che portano l’ascoltatore verso un linguaggio più formale, vicino all’improvvisazione jazz. Da qui in avanti, i due strumentisti si scaldano, si lasciano più andare al fraseggio e alla conversazione ravvicinata (anche se in “Craig Green” ci sono le sequenze più sperimentali..) e concludono con una bonus track di ottimo interplay.
Bella scoperta quella di Green, conferma per King, che mostra una sensibilità e un controllo espressivo fuori dall’ordinario.
Minimalismo senza clichè.