Questo disco è una sfida, non una proposta. Un attacco diretto e dichiarato, non un gioco di infingimenti. Certo, è anche un gioco, spiazzante e sempre un po’ più in là della prevedibilità, del già sentito. Perché a volte, e anche nell’affollato, egotico mondo della canzone d’autore, è il gioco a pagare. E il gioco, spiega una bella pletora di testi sacri della psicologia, è qualcosa di molto serio. Fabio Zuffanti è musicista vero. Uno di quelli che frequentano bordi inquieti e difficilmente rapportabili al bilancino classificatorio. S’è occupato di elettronica, di jazz, di post rock, di prog in odore di intelligenti dolcezze wyattiane, di colonne sonore, di musica da camera, di note al servizio della scrittura: Wu Ming e Tommaso Labranca, tra gli altri. Ha incrociato Franz Di Cioccio e Roberto Colombo. Questo è un progetto destinato a spiazzare tutti. A partire dal titolo, omaggio al Battiato della svolta «pop», dove «ladrone» è ogni musicista, e «foce» il luogo di sbocco di una sorgente comune. Provate a immaginare una sintesi talmente perfetta da sembrare alchemica tra, appunto, il Battiato della citazione, il tardo Battisti, il Fortis de La grande grotta, e sarete a tiro. A sorprendervi, in fondo, che Zuffanti abbia davvero fatto tutto da solo. (g.fe.)
Guido Festinese