labottegadihamlin.it – Dot to Dot

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Piccoli fenomeni (italiani) crescono. Che poi, le parentesi qui si possono tranquillamente omettere, perché leLilies on Mars non suonano come le solite cose nostrane. Il che, vista l’ambizione dichiaratamente cosmopolita ed internazionalista del progetto, ostentata sin sin dal debutto (l’omonimo LP del 2008), non può che essere un bene. Messo da parte ogni residuo provincialismo, Dot to dot vola alto. Fa sua la lezione diCocteau Twins, dei songwriter più visionari (Syd Barrett) e degli shoegazer stile Slowdive per imbastire un flusso celestial-ambientale di riverberi, droni, melodiee eteree, visioni oniriche, con testi pregni di “sentimento oceanico”. Rispetto ai predecessori (il succitato debut e Wish you were a pony), le trame sono più eteree, soporifere: meno elettricità, più elettronica. Soprattutto, Lisa Masia e Marina Cristofalo garantiscono una maggiore omogeneità e coesione del loro ordito sonoro: sono praticamente nulli gli sbandamenti, i punti deboli o le incertezze nelle tredici tracce.

 

Dot to dot, insomma, è un lavoro adulto. Autonomo al punto tale che il featuring di Franco Battiato in Oceanic landscape rischia di risultare quello sì un po’ ridondante. Ma è un eccesso di zelo perdonabile: come fai a dire di no a Battiato, soprattutto se è il tuo mentore e una delle tue influenze dichiarate (sul primo LP le due avevano coverizzato No u turn)? Il tono misticheggiante la fa da padrone in tutto il disco, ma senza pedanterie o forzature: Dram of bees è una delizia di battiti monotoni, vocals fluttuanti e sfumature cupe, con un neppure troppo velato retrogusto folk. L’iterazione ritmica è una delle chiavi di volta di No way, la quale, però, lavora soprattutto su droni e delicati fraseggi di synth per imbastire una nenia celestiale. Una bruma spettrale avvolge anche So far dear America, lenta e solenne, mentre Entre-temps ammalia con una danza persino sensuale, infittita da un nugolo di sei corde tremolanti. Non mancano i passaggi più sporchi: la coda di Interval 2, ad esempio, o Martians, che gioca con pulsazioni new-wave e durezze techno, sospinte da un organo visionario.

 

Le Lilies on Mars, insomma, si districano tra minimalismi, fuggevolezze ambientali e spasmi d’avanguardia rock-elettronica per cesellare tredici quadretti ricchi di fascino, soprattutto contraddistinti da un tratto personale, articolato in maniera funzionale alle esigenze espressive, dunque non aridamente virtuosistico. Bel passo avanti per un act da seguire, a questo punto, con la massima attenzione.

Marco Loprete

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