La Foce Del Ladrone – sands-zine.com

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Nel 1968 Frank Zappa pubblicava il suo terzo album, intitolato “We’re Only in it for the money”. In copertina una riproduzione iconoclasta di “Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band”.
A quarant’anni di distanza, tra profezie e ingenuità, c’interroghiamo ancora sulla cultura pop, l’industria discografica, la musica di massa. Nel mezzo in tanti han detto la loro, e dalle nostre parti, Franco Battiato tra i più influenti e acuti, agli albori dei fatali anni ’80 con “La voce del padrone” lasciava tracimare il suo linguaggio nel grande oceano della musica commerciale.
Siamo figli delle stelle pronipoti di sua maestà il denaro.
Arriva probabilmente da lì lo stimolo di Fabio Zuffanti, coetaneo del disco di Zappa e figlio adottivo di quello di Battiato. Anche lui gioca col mito, suo e generazionale. Ci gioca a nervi scoperti, evidenzia, sottolinea, ricalca. Ma sostanzialmente ci gioca. Questa è la premessa che fa da cornice al terzo album solista dell’autore genovese, curato e prodotto in prima persona, pubblicato in condivisione tra la propria Spirals e l’avanguardistica Long Song, e dedicato alla memoria di Gianni Sassi.
La predilezione di Zuffanti per i tempi dispari rimane assecondata giusto nel brano d’apertura, la citazionista 1986(on a solitary beach). Da lì, la sfida è svincolarsi dalle familiari atmosfere progressive per sporcarsi le mani con la musica pop, facendo ricorso a tutte le possibili e necessarie combinazioni del caso, preferendo un gioco sulle forme più retro della canzone, e richiamando così strutture, melodie, sonorità, ereditate da Battisti, Sorrenti, Gazzè, oltre naturalmente a Battiato, non solo omaggiato ma apertamente citato ed emulato soprattutto nell’impostazione vocale.
Zuffanti lascia trasparire una personalità sentita come ormai troppo matura,in quell’età di mezzo che vorebbe strapparti una volta per tutte l’innocenza dalle mani, autentica o illusoria che sia (io vorrei precipitare nello spazio tra il silenzio/trovare solo un fragile equilibrio/tra quello che io sono e quel che sogno – Capo Nord). Nel quieto vivere lo spazio per un’illusione è tanto accarezzato quanto circoscritto (pensare a lei mi rende vivo/anche se non ho il coraggio/di lasciare le certezze e le ipocrisie – Se c’è lei); i piccoli mondi immaginati vengono presto rimessi nel cassetto dei rimpianti (sopra le luci della città/in strade senza suoni mentre tutto andava via/e le maniglie sulle porte mi parlavano di te/è stato quello il punto/ci siam fermati lassù/ci siam perduti lassù – Lunar Park).
Tutto quello che si vorrebbe è un briciolo di gratificazione (Musica Strana) e quell’incanto che un tempo accompagnava ogni scoperta è il dolce sapore che resta in bocca alla fine di questo viaggio (It’s time to land), una catarsi per lui, un piacevole regalo per noi.

Alberto Carozzi

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