Fabio Zuffanti non è un musicista dell’ultima ora e lo dimostra un curriculum artistico di tutto rispetto, che a partire dal 1994, lo vede coinvolto in diverse identità, stili, formazioni (Hostsonaten e Quadraphonic, Finisterre e La Maschera di Cera, per citarne una manciata). È una premessa importante per poter collocare meglio la sua più recente fatica, questo “La foce del ladrone” che in modo sfacciato omaggia a parole e immagini uno degli album più noti di Franco Battiato e che più discretamente (e con intelligenza), coglie di quel lavoro l’essenza musicale. L’album di Zuffanti non è un divertissement, tantomeno un’enorme masturbazione sonora. Se è vero che come un ladrone pesca a piene mani da illustri predecessori – da cui la foce, non necessariamente il cantautore siciliano – non si coglie la pretesa di sfidare l’ascoltatore ad una estenuante caccia al tesoro. Al contrario, i brani in scaletta hanno la capacità di farsi apprezzare anche, soprattutto, da chi non ha mai seguito o amato Battiato (il quale, in maniera identica, da altre sorgenti ha sempre attinto, senza farne mistero). “1986 (On A Solitary Beach)”, l’intensa “Se c’è lei”, il singolo “Musica strana” sono tra i brani migliori in scaletta, ciascuno a suo modo; quando tra melodie pop e arrangiamenti barocchi si infiltrano echi di musica prog (“In cantina”) Zuffanti raggiunge la perfezione. Probabilmente i puristi odieranno questo disco. Noi odiamo i puristi. Uno pari, palla al centro.
Giovanni Linke