Danelions On Fire – mescalina.it

mescalina.it talks about Dandelions On Fire

Tra collaborazioni e lavori in proprio, ci abbiamo quasi fatto l’abitudine al fatto che i dischi di Carla Bozulich siano attribuiti a nomi più o meno diversi a seconda delle occasioni. È stato così per il recente “Hello voyager”, accreditato come Evangelista, e parrebbe essere così anche per questo “Dandelions on fire”.
Attenzione però, perché questo è un album in tutto e per tutto di Simone Massaron, a cui la Bozulich ha prestato “solo” la sua voce e i suoi testi. Il chitarrista milanese è autore in toto del cd in quanto ha composto, arrangiato e suonato il materiale di sua mano, registrando con l’aiuto fondamentale di Zeno De Rossi (batteria), Xabier Iriondo (mahai methak), Andrea Viti (basso) più qualche altro ospite.
Si tratta dunque di un lavoro italiano, che ha però una caratura nettamente superiore alla media delle nostre scene indie-underground o quant’altro: “Dandelions on fire” è un disco di livello internazionale, in cui la voce della Bozulich è perfettamente a suo agio, a tratti anche più libera ed efficace rispetto a quanto fatto con i suoi progetti.
Ad ascoltare il modo in cui la sua indole drammatica rumoristica viene pacificata da fili di melodia autentici, legati saldamente ad un autarchico spirito blues, verrebbe da dire che questo è il disco migliore fatto dalla Bozulich, ma ribadiamo: lei qui si presta essenzialmente come interprete
Gran parte del merito è di Massaron e dei suoi musicisti, che dosano improvvisazioni e raggrumano noise, distorcendo, estraniando, ma senza mai portare i pezzi oltre il proprio limite (cosa che invece la Bozulich tende a fare volentieri quando è in proprio). Ne è così venuto un disco tanto profondo quanto ascoltabile, tanto straziante quanto commovente nella sua oscura bellezza.
L’approccio è quello di una musica americana old time scavata con un’attitudine da ricercatori alternativi odierni: dall’organo a pompa che scorre sotto ad “Never saw your face” al banjo che mordicchia “Love me mine” e così via per quella ballata perduta che è “The getaway man”, è tutto un affondare e risorgere da un umore avant-blues che non a caso a tratti assume qualche connotato spiritual.
Anche nei pezzi più toccanti come “Here in the blue” (“I’m here in the nowhere / I’m here in the blue”) c’è uno spirito insoddisfatto sempre ben sottolineato da chitarre dosate con dovizia, da una batteria che crea spazi e dai lamenti sonori di Iriondo piuttosto che di un violoncello o di qualche loop.
Il grammofono anni ’20 che si sente in “My hometown” è solo uno sfizio che sottolinea l’animo antico di questo nuovo progetto, che speriamo non si fermi a questo singolo episodio. Certo non sarà facile avere ancora a disposizione un’anima nomade come quella della Bozulich: Di tutte le case che la sua voce ha abitato, questa sembra però essere la migliore per come placa quell’identità disturbata che la contraddistingue.
Speriamo che Massaron riesca ad allestire un altro dei suoi spazi in cui alloggiarla.

Christian Verzeletti

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