La Foce Del Ladrone
CD

La Foce Del LadroneFabio Zuffanti - LSRCD121

A un certo punto mi convinsi che da qualche parte nelle tracce di quel disco doveva esserci un messaggio subliminale che invitava al suo acquisto e al suo ascolto costante. In tutte le case vedevo la copertina bianca e blu e chiunque, persino gli imbianchini (non sia un riferimento offensivo, Lui ci aveva già insegnato in un disco precedente che un imbianchino è meglio di Le Corbusier), persino loro cantavano «il senso del possesso che fu prealessandrino». Lo facevano catturati dal rincorrersi di esse che scivolavano via da sole in un verso che forse non voleva dire nulla, benché ancora oggi sui forum in Rete ragazzi nati anni molto dopo l’uscita nei negozi di La voce del padrone continuino a interrogarsi sul significato.
Trent’anni fa non ci si credeva tutti colti e l’elenco delle cose che potevano elevarti dalla massa era diverso da quello odierno, era composto da elementi più concreti e non dalle «vacanze, l’erba voglio, il cibo giapponese, capire Battiato» come avrebbe elencato vent’anni dopo Morgan, altro discepolo del Maestro. Allora chi non era colto se ne beava e cantava quello che voleva solo per il gusto di farlo, senza dover dichiarare al mondo di aver capito Battiato.
Io comunque provai a cercare quella frase subliminale contenuta in La voce del padrone, convinto di trovarla incisa alla rovescia. Misi un dito sull’etichetta centrale color banana appassita della Emi e girai alla rovescia l’intero vinile, su tutt’e due i lati. Provate a farlo oggi con un mp3 senza usare alcun software, solo un dito. Non trovai niente e ne fui deluso. Ancora una volta non potevo competere con i fratelli maggiori, quelli che si raccontavano leggende di frasi diaboliche inserite nei long playing dei Beatles o di altri artisti che li avevano formati.
La rivincita avvenne parecchi anni dopo, quando mi accorsi di come quel disco avesse influito sul mio modo di scrivere più di qualsiasi altro libro. La mio tendenza al citazionismo frenetico, incontrollato spesso anche inutile dal quale ancora oggi non riesco a liberarmi nasce dall’eccessivo ascolto di Battiato nel 1981. Esattamente come la mia cancellazione dei sentimenti nasce dai suoni secchi, matematici e senza echi di un altro disco coevo, Tin Drum dei Japan.
Fabio Zuffanti è una ulteriore vittima della voce del padrone, disco verso il quale ha un debito infinito e sotterraneo. Adesso però Fabio ha deciso di risparmiare soldi che altrimenti avrebbe buttato via dall’analista, dichiarando apertamente il debito verso quella strana esperienza musicale che nel 1981 spazzò via dalle nostre orecchie i cascami dei cantautori politicizzati e quelli dei complessini romantici con voci da castrato barocco. Tutte espressioni che avevano avuto anche una loro dignità, ormai sfilacciate nel più trito manierismo, ma che Battiato, già passato attraverso le canzoni d’amore e la sperimentazione politica, riprendeva e rielaborava in canzoni dalla forma normale fatte di strofe e ritornelli. Il ritorno all’ordine: non c’è scandalo più grande.
La voce del padrone fu un reset mentale e musicale per molti. Come per tanti altri cagnolini incantati davanti alla tromba del grammofono da cui usciva la voce del padrone, anche per Fabio, allora troppo giovane e con la memoria non ancora intasata di note, fu un incontro folgorante al quale ritorna con rispetto e forse anche il timore di tradire il Maestro. Il timore viene presto superato e Fabio si lancia senza paracadute, in maniera talmente sfacciata da copiare persino la copertina del lavoro originale, con lo spesso bordo blu, il frammento di mappa celeste e quei triangoli colorati senza alcun significato che i grafici degli anni Ottanta mettevano dappertutto.
Dietro la copertina c’è la musica e qui l’omaggio è più sottile. Non sono cover, non è un tributo. È un’operazione più sottile, fatta di note sparse, di suoni di tastiere elettroniche che richiamano le estati su spiagge solitarie. Solo chi ha assorbito pienamente il disco originale potrà ritrovare in queste tracce di Zuffanti il Battiato del 1981. Che, come per i vini, fu un’annata particolare e irripetibile. Prima c’erano stati la sperimentazione e l’esoterismo, il pop imperfetto del cinghiale e dei patrioti. Dopo ci saranno bagni elettronici e ancora esoterismo e poi tutta la fase filosofica. La Voce del Padrone era l’equilibrio perfetto tra pop e sostanza. Credo che lo stesso Battiato ne sia pienamente consapevole, al punto che trent’anni dopo, di passaggio a Sanremo, accompagnò Luca Madonia autocitandosi, distribuendo in quel brano minimi ricordi di una estate su una spiaggia solitaria. La stessa dalla quale Fabio Zuffanti dà il via a questo suo disco-confessione.

Tommaso Labranca

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